Accesso ai documenti amministrativi. E’ necessaria l’autorizzazione dell’assemblea.

documentiL’amministratore di condominio che non dimostra di essere stato autorizzato dall’assemblea condominiale non può proporre l’azione di accesso ai documenti amministrativi di interesse condominiale, né l’esercizio di tale azione può farsi rientrare in una delle attribuzioni proprie dell’amministratore.

Questo è il principio di diritto espresso dal TAR di Bolzano con la sentenza n. 133 del 5 aprile 2016 in merito ai requisiti del condominio per accedere agli atti della pubblica amministrazione.

I fatti di causa. Tizio (amministratore) per tutelare il condominio dal crescente inquinamento prodotto da un vicino distributore di carburanti, decideva di richiedere, con nota trasmessa via pec alla Provincia, al Comune e alla questura, l’accesso alla documentazione necessaria per accertare le autorizzazioni necessarie per svolgere quelle attività. Tuttavia, la domanda di accesso veniva ignorata; di conseguenza il condominio «in persona dell’amministratore e legale rappresentante pro tempore» richiedeva al Tar che fosse dichiarato il diritto dei condòmini ad accedere agli atti sopra descritti, con espresso ordine alle amministrazioni interpellate di esibire la documentazione richiesta ai sensi dell’art. 116, comma 4, c.p.a. Costituendosi in giudizio, la Provincia di Bolzano contestava l’avversa richiesta per difetto di legittimazione processuale e pertanto chiedeva il rigetto del ricorso.

L’accesso agli atti amministrativi e i poteri dell’amministratore di condominio. A tal proposito si evidenzia cheil diritto di accesso agli atti amministrativi è un diritto riconosciuto al cittadino in funzione dei rapporti con lo Stato e la Pubblica Amministrazione, al fine, in particolare, di garantire la trasparenza di quest’ultima. Il diritto di accesso può essere esercitato da tutti i soggetti privati che abbiano un interesse diretto, concreto e attuale, corrispondente ad una situazione giuridicamente tutelata e collegata al documento al quale è chiesto l’accesso. È necessaria quindi una stretta correlazione tra il documento amministrativo oggetto del diritto di accesso e uno specifico interesse del soggetto richiedente; la legge non ammette, infatti, istanze di accesso finalizzate ad un controllo generalizzato dell’operato della pubblica amministrazione: il diritto di accesso è strumentale all’acquisizione di quella conoscenza necessaria per verificare se il comportamento dell’amministrazione è lesivo nei confronti di un interesse privato specifico. Premesso ciò, dal punto di vista condominiale, giova ricordare che l’art. 1130 c.c. stabilisce quali poteri spettano all’amministratore del condominio, sicché a tenore della norma, il potere di rappresentanza dell’amministratore condominiale è limitato alle attribuzioni di cui alla citata disposizione, salvo il caso in cui il regolamento condominiale o l’assemblea, con propria deliberazione, gli attribuiscano poteri maggiori, così come previsto dall’art. 1131 c.c., il quale così recita: “nei limiti delle attribuzioni stabilite dall’articolo 1130 o dei maggiori poteri conferitigli dal regolamento di condominio o dall’assemblea, l’amministratore ha la rappresentanza dei partecipanti e può agire in giudizio sia contro i condomini sia contro i terzi…”.

Ne consegue che, anche in materia di azioni processuali (in questo caso di richiesta di accesso agli atti amministrativi), il potere decisionale spetta solo ed esclusivamente all’assemblea che dovrà deliberare se agire in giudizio, se resistere e se impugnare i provvedimenti in cui il condominio risulta soccombente.

L’interpretazione del TAR di Bolzano. Conformemente ai principi esposti dalla giurisprudenza, il Tribunale amministrativo ha precisato che nel condominio il potere decisionale non può competere in via autonoma all’amministratore che, per sua natura, non è un organo decisionale, ma meramente esecutivo del condominio. (In tal senso Consiglio di Stato, Sez. VI, 8 ottobre 2013, n. 4944; nello stesso senso, TAR Campania, Napoli, Sez. VI, 8 maggio 2014, n. 2511 e Cassaz. Sez. Un., 6 agosto 2010, n. 18331). Nel caso di specie l’amministratore non aveva dimostrato in giudizio di essere stato autorizzato dall’assemblea condominiale a proporre l’azione di accesso di cui all’art. 116 c.p.a., né l’esercizio di tale azione poteva rientrare in una delle attribuzioni proprie dell’amministratore, tassativamente elencate nel citato art. 1130 c.c.

Le conclusioni. Alla luce di tutto quanto innanzi esposto, il ricorso presentato dal ricorrente condominio è stato rigettato.

Avv.to Maurizio Tarantino – Foro di Bari

Fonte www.condominioweb.com

Corte di Cassazione, sezione II, sentenza 27 gennaio 2016, n. 1549

Veduta1

Suprema Corte di Cassazione
sezione II
sentenza 27 gennaio 2016, n. 1549

Considerato in fatto

Il Condominio di via (…) di R. conveniva in giudizio innanzi al Tribunale di Chiavari il condomino R.P. rappresentando che lo stesso aveva realizzato una costruzione ed apposto gronde in aderenza al muro condominiale con ciò ledendo il diritto di veduta di tutti i rimanenti condomini ed alterando l’aspetto estetico ed architettonico dell’edificio condominiale.
Chiedeva, quindi, parte attrice la condanna del convenuto alla rimessione in pristino mediante demolizione dei manufatti.
Costituitosi in giudizio il R. contestava l’avversa domanda deducendone l’infondatezza e chiedendone il rigetto.
L’adito Tribunale, con sentenza n. 275/2006, rigettava la domanda proposta dal Condominio, che veniva condannato al pagamento della metà delle spese di lite e di ctu.
Avverso la suddetta decisione interponeva appello il Condominio, chiedendo la riforma dell’impugnata sentenza.
Resisteva al gravame il R. , formulando – inoltre – appello incidentale quanto alla ripartizione delle spese processuali.
L’adita Corte di Appello di Genova, con sentenza n. 382/2010, in accoglimento dell’appello principale condannava il R. a rimuovere dal proprio giardino due pergolati e le tre tettoie in atti individuate, nonché a rifondere le spese di lite.
Per la cassazione della succitata decisione della Corte territoriale ricorre il R. con atto affidato a sette ordini di motivi.
Resiste con controricorso il Condominio intimato.
Nell’approssimarsi dell’udienza hanno depositato memorie ai sensi dell’art. 378 c.p.c. entrambe le parti.

Ritenuto in diritto

1.- Con il primo motivo del ricorso si censura il vizio di “violazione dell’art. 1130 e 1131 c.c. (ai sensi dell’) art. 360 n. 3 c.p.c.”.
2.- Con il secondo motivo del ricorso si deduce il vizio di “violazione dell’art. 100 c.p.c. (ai sensi dell’) art. 360, n. 4 c.p.c.”.
3.- Con il terzo motivo parte ricorrente lamenta, ai sensi dell’”art. 360, n. 3 c.p.c. la falsa applicazione dell’art. 873 c.c.”.
4.- Con il quarto motivo del ricorso si prospetta il vizio di “omessa motivazione su un fatto controverso decisivo per il giudizio (ovvero) l’esistenza di una profondità dei pergolati tale da richiedere l’arretramento, ma non anche la loro rimozione” ex art. 360, n. 5 c.p.c..
5.- Gli esposti primi quattro motivi del ricorso possono trattarsi congiuntamente per la loro connessione ed in quanto relativi all’aspetto della controversia relativo agli anzidetti pergolati.
I motivi sono del tutti infondati.
Non sussiste, nell’ipotesi, la carenza di legittimazione passiva in capo all’Amministratore del Condominio (come prospettato col primo motivo del ricorso).
La questione (che, peraltro, non viene allegata come motivo già prima svolto nel corso del giudizio)è infondata.
Innanzitutto risulta adottata in data 14 dicembre 1991 delibera con cui l’assemblea condominiale disponeva di “promuovere causa”.
Inoltre L’Amministratore del Condominio ben poteva intraprendere le azioni necessarie a difesa della proprietà condominiale al cospetto delle prospettate violazioni ascrivibili al R. e compromettenti il generale interesse della tutela delle parti condominiali.
Tale considerazione comporta altresì e conseguentemente l’infondatezza del secondo motivo relativo alla pretesa mancanza di interesse sia del Condominio che dei singoli condomini.
Infatti quest’ultimi (sia il primo che i secondi), in ordine alle di loro rispettive proprietà, avevano interesse alla tutela delle stesse porzioni immobiliari.
Giova, in proposito, evidenziare immediatamente la differenza fra la tutela apprestata dall’ordinamento in relazione all’art. 873 c.c. e quella, differente (e di cui si dirà in seguito sub 6), relativa al diritto di veduta della singola unità immobiliare e, quindi, di ciascun proprietario di appartamento, con tutte le ovvie conseguenze in tema di legittimazione ad agire.
D’altra parte, l’ampia previsione dell’art. 873 c.c. ben giustificava e costituiva il fondamento, nella fattispecie, dell’interesse alla tutela delle proprietà nei confronti ed al cospetto di attività e realizzazioni di opere individuate come lesive.
Infondata è anche la questione (di cui al terzo motivo) relativa alla configurazione della natura dei pergolati di cui in ipotesi.
Quest’ultimi, in quanto realizzazioni stabilmente ancorate al suolo, non potevano che essere inquadrate nel novero concettuale di costruzione e, quindi, come tale lesiva dei diritti azionati in giudizio.
Neppure sussiste il difetto motivazionale lamentato con il quarto motivo del ricorso,a mezzo del quale si richiede – nella sostanza – di ritenere che “l’esistenza della profondità dei pergolati era tale da richiedere l’arretramento e non anche la loro rimozione”.
L’impugnata sentenza risulta, in punto, fondata su congrua motivazione esente da vizi logici riscontrabili in questa sede.
Deve, per più al riguardo, riaffermarsi (ad ulteriore riprova dell’infondatezza del quarto motivo) noto principio già affermato da questa Corte ( Cass. civ., Sez. Seconda, Sent. 27 aprile 2006, n. 9640), secondo cui “deducendo che era sufficiente, ai fini del rispetto delle distanze” ed allo scopo precipuo di ottenere – in luogo della demolizione – (a disposizione e “l’adozione di (altri) specifici accorgimenti………è sempre||e^essario che la parte interessata chieda al Giudice stesso l’adozione di tale potere” (cosa non risultante nella fattispecie).
I primi quattro motivi del ricorso devono, dunque, essere tutti respinti.
6.- Con il quinto motivo si deduce la violazione degli “artt. 1130 e 1131 c.c. (in relazione all’) art. 360 n. 3 c.p.c.” in quanto “la legittimazione ad agire per la tutela dei diritti di veduta spetta a ciascun singolo condomino che ne è titolare esclusivo e non all’amministratore del condominio”.
Il motivo è fondato.
La legittimazione ad agire per la specifica tutela dei diritti di veduta non può che appartenere ai singoli condomini.
In assenza di ogni altra allegazione quanto alla possibilità di coesistenza di vedute di singoli condomini e di vedute quali, ad esempio, quelle delle finestre delle scale del condominio, il diritto di veduta a favore delle singole unità abitative è proprio del titolare della proprietà di ciascun singola appartamento e, pertanto, non del Condominio, ma del singolo condomino-proprietario. Il motivo qui scrutinato deve, quindi, essere accolto.
7.- Con il sesto motivo si censura l’”insufficiente motivazione circa un fatto controverso decisivo per il giudizio” ovvero “circa il mancato rispetto delle distanze (punto più sporgente tettoie e facciata muro condominiale)”.
In proposito, richiamandosi quanto innanzi già affermato (pur se con riferimento al diverso aspetto della legittimazione processuale) sub 5. e 6., va considerato quanto segue.
La valutazione delle prescritte distanze con riferimento al punto massimo di sporgenza delle tettorie andava comunque svolta con specifica e chiara motivazione in punto di calcolo delle stesse con riguardo alla lesione di diritti individuali di singoli condomini e/o di diritti inerenti beni condominiali.
Differente sarebbe, infatti, la soluzione da dare in concreto alla vicenda se si trattasse di computo distanze nei confronti si singola proprietà individuale di un condomino ovvero nei riguardi di beni condominiali.
A tale principio non può non ispirarsi una attenta valutazione del denunciato aspetto del mancato o meno rispetto delle distanze in relazione al quale viene mossa la censura di carenza motivazionale. Poiché, in proposito, la motivazione della gravata decisione appare carente il motivo in esame deve ritenersi fondato e va, conseguentemente accolto.
8.- Con il settimo motivo si deduce la “violazione dell’art. 1102 c.c. in rapporto all’art. 907, 3 co. c.c. (in relazione all’) art. 360, n. 3 c.p.c.” Parte ricorrente prospetta la asserita necessità, nella fattispecie, della “verifica della prevalenza o meno delle norme di uso comune (1102) su quelle relative alle distanze legali (907, 3 co. c.c.)”.
La prospettata censura è del tutto destituita di fondamento.
Nessuna norma di uso comune può (né risulta mai essere stata utilizzata a tal fine) comportare il superamento delle prescrizioni di legge in materia di rispetto delle distanze legali.
L’impugnata sentenza è quindi, del tutto immune dalla formulata censura che non può essere accolta.
9.- In conseguenza dell’accoglimento del quinto e del sesto motivo del ricorso, va disposta la cassazione dell’impugnata sentenza ed il rinvio ad altra Sezione della Corte di Appello di Genova affinché la stessa decida la controversia uniformandosi ai principi innanzi enunciati.

P.Q.M.

La Corte accoglie il quinto ed il sesto motivo del ricorso, rigettati i rimanenti, cassa l’impugnata sentenza e rinvia, anche per le spese, ad altra Sezione della Corte di Appello di Genova.