La lesione del diritto di veduta è affare dei singoli condòmini

Veduta1

In tema di azioni giudiziarie legate alla lesione del diritto di veduta a seguito di nuova costruzione da parte di uno dei condòmini, deve ritenersi che la legittimazione a fare accertare l’illegittimità delle opere spetti ai diretti interessati.

Nei consegue che in assenza di finestre condominiali che possano consentire l’affermazione di una lesione del comune diritto di veduta, tale azione debba essere intrapresa dai singoli condòmini e non dall’amministratore, ai sensi dell’art. 1130-1131 c.c. e nemmeno a seguito di apposita delibera assembleare.

Questa, in breve sintesi, la decisione della Suprema Corte di Cassazione resa con la sentenza n. 1549 depositata in cancelleria il 27 gennaio 2016.

In breve i fatti: un condomino appone un pergolato  lo aggancia ad un muro condominiale: gli altri condòmini, per mezzo dell’amministratore ed a seguito di apposita assemblea, decidono di fargli causa.

Dopo che il primo grado li vedeva soccombenti, nel giudizio di appello le cose cambiavano: il pergolato andava rimosso perché lesivo delle norme dettate in materia di distanze nelle costruzioni e di diritto di veduta.

Da qui il ricorso di Cassazione del condomino originario convenuto: il pergolato non poteva essere considerato equiparabile ad una costruzione e comunque la lesione del diritto di veduta non poteva essere fatta valere in giudizio dall’amministratore, dovendo essere contestata direttamente dei condòmini interessati.

Il ricorso, come si suole dire, è stato accolto solo parzialmente. Quanto al concetto di costruzione – valevole ai fini del rispetto della normativa sulle distanze indicata dall’art. 873 c.c. e dai regolamenti edilizi locali – la Corte di Cassazione non ha avuto dubbi nell’affermare che i pergolati oggetto della contesa “in quanto realizzazioni stabilmente ancorate al suolo, non potevano che essere inquadrate nel novero concettuale di costruzione e, quindi, come tale lesiva dei diritti azionati in giudizio” (Cass. 27 gennaio 2016 n. 1549).

Le regole per ampliare la propria abitazione mediante una sopraelevazione

Per quanto riguarda l’azione a tutela del diritto di veduta, l’esito del ricorso è stato favorevole al condomino. L’amministratore, dato lo specifico stato dei luoghi, non avere legittimazione ad agire per quella ragione.

Si legge in sentenza che “la legittimazione ad agire per la specifica tutela dei diritti di veduta non può che appartenere ai singoli condomini. In assenza di ogni altra allegazione quanto alla possibilità di coesistenza di vedute di singoli condomini e di vedute quali, ad esempio, quelle delle finestre delle scale del condominio, il diritto di veduta a favore delle singole unità abitative è proprio del titolare della proprietà di ciascun singola appartamento e, pertanto, non del Condominio, ma del singolo condomino-proprietario”.

Il ragionamento dev’essere considerato condivisibile. In effetti in assenza di vedute condominiali i condòmini che, ad esempio, non hanno affaccio diretto sul punto oggetto di contestazione o che magari abitano ad un piano alto e rispetto ai quali non può affermarsi alcuna violazione, che diritto possono far valere in giudizio per il tramite dell’amministratore?

Fonte www.condominioweb.com

Accesso ai documenti amministrativi. E’ necessaria l’autorizzazione dell’assemblea.

documentiL’amministratore di condominio che non dimostra di essere stato autorizzato dall’assemblea condominiale non può proporre l’azione di accesso ai documenti amministrativi di interesse condominiale, né l’esercizio di tale azione può farsi rientrare in una delle attribuzioni proprie dell’amministratore.

Questo è il principio di diritto espresso dal TAR di Bolzano con la sentenza n. 133 del 5 aprile 2016 in merito ai requisiti del condominio per accedere agli atti della pubblica amministrazione.

I fatti di causa. Tizio (amministratore) per tutelare il condominio dal crescente inquinamento prodotto da un vicino distributore di carburanti, decideva di richiedere, con nota trasmessa via pec alla Provincia, al Comune e alla questura, l’accesso alla documentazione necessaria per accertare le autorizzazioni necessarie per svolgere quelle attività. Tuttavia, la domanda di accesso veniva ignorata; di conseguenza il condominio «in persona dell’amministratore e legale rappresentante pro tempore» richiedeva al Tar che fosse dichiarato il diritto dei condòmini ad accedere agli atti sopra descritti, con espresso ordine alle amministrazioni interpellate di esibire la documentazione richiesta ai sensi dell’art. 116, comma 4, c.p.a. Costituendosi in giudizio, la Provincia di Bolzano contestava l’avversa richiesta per difetto di legittimazione processuale e pertanto chiedeva il rigetto del ricorso.

L’accesso agli atti amministrativi e i poteri dell’amministratore di condominio. A tal proposito si evidenzia cheil diritto di accesso agli atti amministrativi è un diritto riconosciuto al cittadino in funzione dei rapporti con lo Stato e la Pubblica Amministrazione, al fine, in particolare, di garantire la trasparenza di quest’ultima. Il diritto di accesso può essere esercitato da tutti i soggetti privati che abbiano un interesse diretto, concreto e attuale, corrispondente ad una situazione giuridicamente tutelata e collegata al documento al quale è chiesto l’accesso. È necessaria quindi una stretta correlazione tra il documento amministrativo oggetto del diritto di accesso e uno specifico interesse del soggetto richiedente; la legge non ammette, infatti, istanze di accesso finalizzate ad un controllo generalizzato dell’operato della pubblica amministrazione: il diritto di accesso è strumentale all’acquisizione di quella conoscenza necessaria per verificare se il comportamento dell’amministrazione è lesivo nei confronti di un interesse privato specifico. Premesso ciò, dal punto di vista condominiale, giova ricordare che l’art. 1130 c.c. stabilisce quali poteri spettano all’amministratore del condominio, sicché a tenore della norma, il potere di rappresentanza dell’amministratore condominiale è limitato alle attribuzioni di cui alla citata disposizione, salvo il caso in cui il regolamento condominiale o l’assemblea, con propria deliberazione, gli attribuiscano poteri maggiori, così come previsto dall’art. 1131 c.c., il quale così recita: “nei limiti delle attribuzioni stabilite dall’articolo 1130 o dei maggiori poteri conferitigli dal regolamento di condominio o dall’assemblea, l’amministratore ha la rappresentanza dei partecipanti e può agire in giudizio sia contro i condomini sia contro i terzi…”.

Ne consegue che, anche in materia di azioni processuali (in questo caso di richiesta di accesso agli atti amministrativi), il potere decisionale spetta solo ed esclusivamente all’assemblea che dovrà deliberare se agire in giudizio, se resistere e se impugnare i provvedimenti in cui il condominio risulta soccombente.

L’interpretazione del TAR di Bolzano. Conformemente ai principi esposti dalla giurisprudenza, il Tribunale amministrativo ha precisato che nel condominio il potere decisionale non può competere in via autonoma all’amministratore che, per sua natura, non è un organo decisionale, ma meramente esecutivo del condominio. (In tal senso Consiglio di Stato, Sez. VI, 8 ottobre 2013, n. 4944; nello stesso senso, TAR Campania, Napoli, Sez. VI, 8 maggio 2014, n. 2511 e Cassaz. Sez. Un., 6 agosto 2010, n. 18331). Nel caso di specie l’amministratore non aveva dimostrato in giudizio di essere stato autorizzato dall’assemblea condominiale a proporre l’azione di accesso di cui all’art. 116 c.p.a., né l’esercizio di tale azione poteva rientrare in una delle attribuzioni proprie dell’amministratore, tassativamente elencate nel citato art. 1130 c.c.

Le conclusioni. Alla luce di tutto quanto innanzi esposto, il ricorso presentato dal ricorrente condominio è stato rigettato.

Avv.to Maurizio Tarantino – Foro di Bari

Fonte www.condominioweb.com

Corte di Cassazione, sezione II, sentenza 27 gennaio 2016, n. 1549

Veduta1

Suprema Corte di Cassazione
sezione II
sentenza 27 gennaio 2016, n. 1549

Considerato in fatto

Il Condominio di via (…) di R. conveniva in giudizio innanzi al Tribunale di Chiavari il condomino R.P. rappresentando che lo stesso aveva realizzato una costruzione ed apposto gronde in aderenza al muro condominiale con ciò ledendo il diritto di veduta di tutti i rimanenti condomini ed alterando l’aspetto estetico ed architettonico dell’edificio condominiale.
Chiedeva, quindi, parte attrice la condanna del convenuto alla rimessione in pristino mediante demolizione dei manufatti.
Costituitosi in giudizio il R. contestava l’avversa domanda deducendone l’infondatezza e chiedendone il rigetto.
L’adito Tribunale, con sentenza n. 275/2006, rigettava la domanda proposta dal Condominio, che veniva condannato al pagamento della metà delle spese di lite e di ctu.
Avverso la suddetta decisione interponeva appello il Condominio, chiedendo la riforma dell’impugnata sentenza.
Resisteva al gravame il R. , formulando – inoltre – appello incidentale quanto alla ripartizione delle spese processuali.
L’adita Corte di Appello di Genova, con sentenza n. 382/2010, in accoglimento dell’appello principale condannava il R. a rimuovere dal proprio giardino due pergolati e le tre tettoie in atti individuate, nonché a rifondere le spese di lite.
Per la cassazione della succitata decisione della Corte territoriale ricorre il R. con atto affidato a sette ordini di motivi.
Resiste con controricorso il Condominio intimato.
Nell’approssimarsi dell’udienza hanno depositato memorie ai sensi dell’art. 378 c.p.c. entrambe le parti.

Ritenuto in diritto

1.- Con il primo motivo del ricorso si censura il vizio di “violazione dell’art. 1130 e 1131 c.c. (ai sensi dell’) art. 360 n. 3 c.p.c.”.
2.- Con il secondo motivo del ricorso si deduce il vizio di “violazione dell’art. 100 c.p.c. (ai sensi dell’) art. 360, n. 4 c.p.c.”.
3.- Con il terzo motivo parte ricorrente lamenta, ai sensi dell’”art. 360, n. 3 c.p.c. la falsa applicazione dell’art. 873 c.c.”.
4.- Con il quarto motivo del ricorso si prospetta il vizio di “omessa motivazione su un fatto controverso decisivo per il giudizio (ovvero) l’esistenza di una profondità dei pergolati tale da richiedere l’arretramento, ma non anche la loro rimozione” ex art. 360, n. 5 c.p.c..
5.- Gli esposti primi quattro motivi del ricorso possono trattarsi congiuntamente per la loro connessione ed in quanto relativi all’aspetto della controversia relativo agli anzidetti pergolati.
I motivi sono del tutti infondati.
Non sussiste, nell’ipotesi, la carenza di legittimazione passiva in capo all’Amministratore del Condominio (come prospettato col primo motivo del ricorso).
La questione (che, peraltro, non viene allegata come motivo già prima svolto nel corso del giudizio)è infondata.
Innanzitutto risulta adottata in data 14 dicembre 1991 delibera con cui l’assemblea condominiale disponeva di “promuovere causa”.
Inoltre L’Amministratore del Condominio ben poteva intraprendere le azioni necessarie a difesa della proprietà condominiale al cospetto delle prospettate violazioni ascrivibili al R. e compromettenti il generale interesse della tutela delle parti condominiali.
Tale considerazione comporta altresì e conseguentemente l’infondatezza del secondo motivo relativo alla pretesa mancanza di interesse sia del Condominio che dei singoli condomini.
Infatti quest’ultimi (sia il primo che i secondi), in ordine alle di loro rispettive proprietà, avevano interesse alla tutela delle stesse porzioni immobiliari.
Giova, in proposito, evidenziare immediatamente la differenza fra la tutela apprestata dall’ordinamento in relazione all’art. 873 c.c. e quella, differente (e di cui si dirà in seguito sub 6), relativa al diritto di veduta della singola unità immobiliare e, quindi, di ciascun proprietario di appartamento, con tutte le ovvie conseguenze in tema di legittimazione ad agire.
D’altra parte, l’ampia previsione dell’art. 873 c.c. ben giustificava e costituiva il fondamento, nella fattispecie, dell’interesse alla tutela delle proprietà nei confronti ed al cospetto di attività e realizzazioni di opere individuate come lesive.
Infondata è anche la questione (di cui al terzo motivo) relativa alla configurazione della natura dei pergolati di cui in ipotesi.
Quest’ultimi, in quanto realizzazioni stabilmente ancorate al suolo, non potevano che essere inquadrate nel novero concettuale di costruzione e, quindi, come tale lesiva dei diritti azionati in giudizio.
Neppure sussiste il difetto motivazionale lamentato con il quarto motivo del ricorso,a mezzo del quale si richiede – nella sostanza – di ritenere che “l’esistenza della profondità dei pergolati era tale da richiedere l’arretramento e non anche la loro rimozione”.
L’impugnata sentenza risulta, in punto, fondata su congrua motivazione esente da vizi logici riscontrabili in questa sede.
Deve, per più al riguardo, riaffermarsi (ad ulteriore riprova dell’infondatezza del quarto motivo) noto principio già affermato da questa Corte ( Cass. civ., Sez. Seconda, Sent. 27 aprile 2006, n. 9640), secondo cui “deducendo che era sufficiente, ai fini del rispetto delle distanze” ed allo scopo precipuo di ottenere – in luogo della demolizione – (a disposizione e “l’adozione di (altri) specifici accorgimenti………è sempre||e^essario che la parte interessata chieda al Giudice stesso l’adozione di tale potere” (cosa non risultante nella fattispecie).
I primi quattro motivi del ricorso devono, dunque, essere tutti respinti.
6.- Con il quinto motivo si deduce la violazione degli “artt. 1130 e 1131 c.c. (in relazione all’) art. 360 n. 3 c.p.c.” in quanto “la legittimazione ad agire per la tutela dei diritti di veduta spetta a ciascun singolo condomino che ne è titolare esclusivo e non all’amministratore del condominio”.
Il motivo è fondato.
La legittimazione ad agire per la specifica tutela dei diritti di veduta non può che appartenere ai singoli condomini.
In assenza di ogni altra allegazione quanto alla possibilità di coesistenza di vedute di singoli condomini e di vedute quali, ad esempio, quelle delle finestre delle scale del condominio, il diritto di veduta a favore delle singole unità abitative è proprio del titolare della proprietà di ciascun singola appartamento e, pertanto, non del Condominio, ma del singolo condomino-proprietario. Il motivo qui scrutinato deve, quindi, essere accolto.
7.- Con il sesto motivo si censura l’”insufficiente motivazione circa un fatto controverso decisivo per il giudizio” ovvero “circa il mancato rispetto delle distanze (punto più sporgente tettoie e facciata muro condominiale)”.
In proposito, richiamandosi quanto innanzi già affermato (pur se con riferimento al diverso aspetto della legittimazione processuale) sub 5. e 6., va considerato quanto segue.
La valutazione delle prescritte distanze con riferimento al punto massimo di sporgenza delle tettorie andava comunque svolta con specifica e chiara motivazione in punto di calcolo delle stesse con riguardo alla lesione di diritti individuali di singoli condomini e/o di diritti inerenti beni condominiali.
Differente sarebbe, infatti, la soluzione da dare in concreto alla vicenda se si trattasse di computo distanze nei confronti si singola proprietà individuale di un condomino ovvero nei riguardi di beni condominiali.
A tale principio non può non ispirarsi una attenta valutazione del denunciato aspetto del mancato o meno rispetto delle distanze in relazione al quale viene mossa la censura di carenza motivazionale. Poiché, in proposito, la motivazione della gravata decisione appare carente il motivo in esame deve ritenersi fondato e va, conseguentemente accolto.
8.- Con il settimo motivo si deduce la “violazione dell’art. 1102 c.c. in rapporto all’art. 907, 3 co. c.c. (in relazione all’) art. 360, n. 3 c.p.c.” Parte ricorrente prospetta la asserita necessità, nella fattispecie, della “verifica della prevalenza o meno delle norme di uso comune (1102) su quelle relative alle distanze legali (907, 3 co. c.c.)”.
La prospettata censura è del tutto destituita di fondamento.
Nessuna norma di uso comune può (né risulta mai essere stata utilizzata a tal fine) comportare il superamento delle prescrizioni di legge in materia di rispetto delle distanze legali.
L’impugnata sentenza è quindi, del tutto immune dalla formulata censura che non può essere accolta.
9.- In conseguenza dell’accoglimento del quinto e del sesto motivo del ricorso, va disposta la cassazione dell’impugnata sentenza ed il rinvio ad altra Sezione della Corte di Appello di Genova affinché la stessa decida la controversia uniformandosi ai principi innanzi enunciati.

P.Q.M.

La Corte accoglie il quinto ed il sesto motivo del ricorso, rigettati i rimanenti, cassa l’impugnata sentenza e rinvia, anche per le spese, ad altra Sezione della Corte di Appello di Genova.

Le spese per le parti comuni sostenute dal singolo condomino

 

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In materia di condominio, ove il singolo condomino abbia sostenuto delle spese per la gestione e la manutenzione delle cose comuni senza autorizzazione dell’assemblea o dell’amministratore non ha diritto al rimborso di quanto sostenuto. Infatti, ai sensi e per gli effetti dell’art 1134 cc, il diritto al rimborso è subordinato alla dimostrazione dell’urgenza nonché della necessità di effettuare la spesa senza ritardo e, quindi, senza poter avvertire in tempo utile l’amministratore e gli altri condomini. A tal fine va considerata urgente la spesa la cui erogazione non può essere differita senza danno o pericolo, sino a quando l’amministratore o l’assemblea dei condomini possano utilmente provare.

Tribunale di Bologna, sezione II, Sentenza 11 marzo 2010 n. 670

Tale recente pronuncia è diretta applicazione dell’art. 1134 cc, secondo il quale, il condomino che ha fatto spese per le cose comuni senza autorizzazione dell’amministratore o dell’assemblea non ha diritto al rimborso, salvo che si tratti di spesa urgente.

La “ratio” della norma di cui all’art. 1134 c.c. è quella di evitare, nel condominio negli edifici, dannose interferenze del singolo condomino nell’amministrazione riservata agli organi del condomino. L’onere della prova dell’indifferibilità della spesa incombe sul condomino che pretende il rimborso, spettando allo stesso dimostrare la sussistenza delle condizioni che imponevano di provvedere senza ritardo e impedivano di avvertire tempestivamente l’Amministratore e gli altri condomini. Il concetto di “urgenza” impiegato nell’art. 1134 c.c., designa, dunque, una stretta necessità, immediata ed impellente, che non poteva essere differita senza danno alle cose comuni o alla proprietà esclusiva del condomino e, quindi, senza possibilità di avvertire tempestivamente l’amministratore e gli altri condomini (Cass. n. 4364/2001; Trib. Trani, 22/01/2008).

Al fine di avere diritto al rimborso della spesa affrontata per conservare la cosa comune, il condomino deve dimostrare l’urgenza, ai sensi dell’articolo 1134 del codice civile, ossia la necessità di eseguirla senza ritardo e senza attendere l’autorizzazione dell’amministratore o dell’assemblea. Deve quindi trattarsi di opere urgenti, intendendosi per tali quelle che, secondo il criterio del “bonus pater familias”, appaiano indifferibili allo scopo di evitare un possibile, anche se non certo, nocumento della cosa comune. Inoltre il principio della rimborsabilità al condomino, in assenza di autorizzazione dell’organo competente, delle sole spese da costui sostenute in via di urgenza, deve essere applicato anche alle spese di riparazione e ricostruzione del lastrico in uso esclusivo del condomino, trattandosi di spese comunque destinate a essere ripartite tra tutta la collettività condominiale secondo i criteri dell’articolo 1126 del codice civile in funzione della comune utilità del bene quale copertura dell’edificio (App. Roma, Sez. IV, 21/07/2004).

D’altro canto, l’art. 1134 c.c. trova applicazione solo nel caso in cui le spese si riferiscano alle riparazioni di cose comuni e non pure allorchè afferiscano ad opere dallo stesso effettuate nell’ambito della sua proprietà singola (Trib. Monza, Sez. I, 13/02/2008).

Ancora, la fattispecie in esame trova applicazione solo nel caso in cui le spese si riferiscono alla riparazione di cose comuni e non pure allorché afferiscono ad opere dallo stesso effettuate nell’ambito della sua proprietà singola al fine di accertare le cause del danno verificatosi (nella specie: infiltrazioni d’acqua) e la sua derivazione o meno dalla rottura di un impianto condominiale (nella specie: condotta fognaria) (Cass. civ., 05/08/1983, n.5264).

Fonte www.condominioweb.com
07/06/2010 di Luigi Modaffari

Bonus mobili, tra limiti ed opportunità. Brevi istruzioni per l’uso.

Bonus mobili, tra limiti ed opportunità. Brevi istruzioni per l’uso.
24/01/2014 Dott.ssa Maria Adele Venneri

La Legge 27.12.2013 n° 147, nota come Legge di Stabilità per il 2014, pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale n. 302 del 27.12.2013, con riferimento all’acquisto di mobili ed elettrodomestici efficienti (eseguito nell’ambito degli interventi di ristrutturazione edilizia degli immobili) ha prorogato la possibilità di ottenere le detrazioni fiscali per i suddetti acquisti, fissando il termine finale alla data del 31 dicembre 2014.

La detrazione è pari al 50%, per un importo massimo di 10 mila euro.

In un primo momento la Legge di Stabilità, disponeva che non poteva essere concesso il beneficio del bonus mobili se il prezzo degli arredi superava quello della ristrutturazione.

Tale limite è stato eliminato, pochi giorni dopo, dal D.L. 30 dicembre 2013, n. 151, c.d. Milleproroghe bis.

Che cosa occorre fare per avere la detrazione?

Quando si eseguono interventi di recupero del patrimonio edilizio degli edifici esistenti, è concessa un’agevolazione fiscale consistente in detrazioni dall’Irpef (Imposta sul reddito delle persone fisiche) o dall’Ires (Imposta sul reddito delle società).

1° Limite o opportunità. Dunque, per avere la detrazione è necessario effettuare una ristrutturazione edilizia, sia su singole unità immobiliari residenziali sia su parti comuni di edifici, di cui all’art. 1117 del codice civile, sempre residenziali.

Occorre, inoltre, che le spese per questi interventi di recupero edilizio siano sostenute dal 26 giugno 2012, data di entrata in vigore dell’art. 11 del D.L. n. 83 del 2012.

Per conseguire il bonus è indispensabile che la data dell’inizio dei lavori di ristrutturazione anticipi quella in cui si comprano i beni.

Di contro, non è fondamentale che le spese di ristrutturazione siano sostenute antecedentemente a quelle per l’arredo dell’immobile.

La data di avvio dei lavori può essere provata da eventuali abilitazioni amministrative, dalla comunicazione preventiva all’Asl, quando è obbligatoria. Invece, per gli interventi che non richiedono comunicazioni o titoli abilitativi, basta una dichiarazione sostitutiva di atto di notorietà, ex art. 47 del dPR n. 445/2000, come stabilito dal provvedimento del direttore dell’Agenzia delle Entrate del 2 novembre 2011.

L’Agenzia delle Entrate con la Circolare n. 29/E, del 18.09.2013, ha evidenziato che il bonus è collegato agli interventi: di manutenzione ordinaria, di manutenzione straordinaria, di restauro e di risanamento conservativo, di ristrutturazione edilizia, necessari alla ricostruzione o al ripristino dell’immobile danneggiato a seguito di eventi calamitosi. A titolo di esempio, l’Agenzia delle Entrate, ricorda che la manutenzione straordinaria comprende:

  • l’installazione di ascensori e scale di sicurezza;
  • la realizzazione dei servizi igienici;
  • la sostituzione di infissi esterni con modifica di materiale o tipologia di infisso;
  • il rifacimento di scale e rampe;
  • la realizzazione di recinzioni, muri di cinta e cancellate;
  • la costruzione di scale interne;
  • la sostituzione dei tramezzi interni senza alterazione della tipologia dell’unità immobiliare;

La ristrutturazione edilizia:

  • la modifica della facciata;
  • la realizzazione di una mansarda o di un balcone;
  • la trasformazione della soffitta in mansarda o del balcone in veranda;
  • l’apertura di nuove porte e finestre;
  • la costruzione dei servizi igienici in ampliamento delle superfici e dei volumi esistenti.

Invece il restauro e il risanamento conservativo:

  • l’adeguamento delle altezze dei solai nel rispetto delle volumetrie esistenti;
  • il ripristino dell’aspetto storico-architettonico di un edificio.

Infine, occorre ricordare che la detrazione è concessa anche in caso di restauro e di risanamento conservativo, di ristrutturazione edilizia riguardanti interi fabbricati, eseguiti da imprese di costruzione o ristrutturazione immobiliare e da cooperative edilizie, che provvedano, però entro sei mesi dal termine dei lavori alla successiva alienazione o assegnazione dell’immobile.

Dunque, chi compra un appartamento ristrutturato da una cooperativa, potrebbe usufruire del “bonus mobili” per l’arredamento dello stesso.

Gli esempi di lavori suindicati si riferiscono ad opere effettuate sia su singoli appartamenti sia su parti condominiali.

2° Limite o opportunità. Quando sono compiuti lavori di ristrutturazione sulle parti comuni condominiali, i singoli condomini che usufruiscono pro quota della relativa detrazione, non possono detrarre le spese sostenute per l’acquisto di mobili e grandi elettrodomestici da destinare all’arredo della propria abitazione.

Invece, sono detraibili, le spese effettuate per acquistare gli arredi delle parti comuni dell’edificio condominiale, come ad esempio la guardiola o l’appartamento del portiere.

Quali esempi di lavori di manutenzione ordinaria su parti condominiali che danno diritto al bonus occorre indicare:

  • la tinteggiatura di pareti e soffitti;
  • la sostituzione di pavimenti;
  • la sostituzione di infissi esterni;
  • il rifacimento di intonaci;
  • la sostituzione tegole e rinnovo delle impermeabilizzazioni;
  • la riparazione o sostituzione di cancelli o portoni;
  • la riparazione delle grondaie.

Da ciò consegue che i lavori di manutenzione ordinaria su singoli appartamenti (per esempio, la tinteggiatura di pareti e soffitti, la sostituzione di pavimenti o d’infissi esterni, il rifacimento di intonaci interni) non danno diritto al bonus.

3° Limite o opportunità. Il D.L. n. 63, del 4 giugno 2013 prima e la Legge di Stabilità per il 2014 poi hanno riconosciuto la detrazione del 50% anche sulle ulteriori spese sostenute per l’acquisto di mobili e di grandi elettrodomestici, in virtù dell’arredo dell’immobile oggetto di ristrutturazione.

Non è, invece, richiesto che ci sia un collegamento fra i mobili e l’ambiente ristrutturato.

Precisamente, si può usufruire della detrazione per l’acquisto di mobili o di grandi elettrodomestici purché l’immobile sia comunque oggetto degli interventi edilizi, anche se i beni sono destinati all’arredo di un ambiente diverso da quelli oggetto d’interventi edilizi.

E’ la stessa Agenzia dell’Entrate che per la detrazione spettante l’acquisto di mobili nuovi, rappresentanti un essenziale completamento dell’arredo dell’immobile, indica quali esempi:

letti; armadi; cassettiere; librerie; scrivanie; tavoli; sedie; comodini; divani; poltrone; credenze; materassi; apparecchi di illuminazione.

Il bonus, invece, è escluso per l’acquisto di porte, pavimentazioni (parquet), tende e tendaggi o altri complementi di arredo.

La detrazione spetta per l’acquisto elettrodomestici nuovi di classe energetica non inferiore alla A+ (A per i forni), come rilevabile dall’etichetta energetica. L’acquisto è comunque agevolato per gli elettrodomestici privi di etichetta, a condizione che per essi non ne sia stato ancora previsto l’obbligo.

Nei grandi elettrodomestici si includono per esempio:

i frigoriferi; i congelatori; le lavatrici; le asciugatrici; le lavastoviglie; gli apparecchi di cottura; le stufe elettriche, i forni a microonde; le piastre riscaldanti elettriche; gli apparecchi elettrici di riscaldamento; i radiatori elettrici; i ventilatori elettrici; gli apparecchi per il condizionamento.

Nel caso in cui un contribuente esegua lavori di ristrutturazione su più unità immobiliari, avrà diritto al beneficio più volte. Difatti l’importo massimo di 10.000 euro è correlato a ciascun’unità abitativa oggetto di ristrutturazione.

4° Limite o opportunità. Infine, è bene ricordare che tra le spese da portare in detrazione si possono inserire quelle di trasporto e di montaggio dei beni acquistati, purché le spese stesse siano state sostenute con le modalità di pagamento richieste per fruire della detrazione dei lavori di ristrutturazione fiscalmente agevolati che sono: bonifici (che dovranno indicare la causale del versamento attualmente utilizzata dalle banche e da Poste Italiane Spa per i bonifici relativi ai lavori di ristrutturazione fiscalmente agevolati; il codice fiscale del beneficiario della detrazione; il numero di partita Iva o il codice fiscale del soggetto a favore del quale il bonifico è effettuato); inoltre, è consentito effettuare il pagamento degli acquisti di mobili o di grandi elettrodomestici anche mediante carte di credito o carte di debito.

Invece, non è consentito, eseguire il pagamento per mezzo di assegni bancari, contanti o altri mezzi di pagamento.

Le spese sostenute, inoltre, devono essere documentate. Occorrerà, dunque, conservare la documentazione attestante l’effettivo pagamento e le fatture di acquisto dei beni con la consueta specificazione della natura, qualità e quantità dei beni e servizi acquisiti.
Per ottenere la detrazione per l’acquisto dei beni si indicheranno, quindi le spese sostenute nella dichiarazione dei redditi (modello 730 o modello Unico persone fisiche), e la detrazione va ripartita in 10 quote annuali di pari importo, calcolata su un ammontare complessivo non superiore a 10.000 euro.

Infine, si badi che per le prestazioni di servizi relative agli interventi di recupero edilizio, di manutenzione ordinaria e straordinaria, realizzati sugli immobili a prevalente destinazione abitativa privata, si applica l’aliquota Iva agevolata del 10%.

Detrazioni sì. Tra limiti e opportunità

fonte: Condominioweb

Il condominio risponde del danno causato da parti comuni dell’edificio? Non sempre.

Il condominio risponde del danno causato da parti comuni dell’edificio? Non sempre.

25/11/2013 Avv. Giuseppe Donato Nuzzo

Il condominio è proprietario e “custode” dei beni e dei servizi comuni e, pertanto, è tenuto a vigilare sulla funzionalità delle parti predette, a curarne la manutenzione nonché ad adottare tutte le misure necessarie affinché le cose in comunione non rechino pregiudizio alcuno alle persone (condomini o terzi) ed ai loro beni.

La specifica responsabilità che ne consegue in caso di omessa vigilanza e controllo è detta “per mancata custodia” ed è riconducibile all’art. 2051 c.c., che così dispone: “ciascuno è responsabile del danno cagionato dalle cose in custodia, salvo che provi il caso fortuito”.

Si tratta di una responsabilità definita “oggettiva” per distinguerla dallo schema generale di responsabilità civile di cui all’art. 2043 c.c. Quest’ultima articolo afferma la responsabilità in presenza di un “comportamento doloso e colposo” dell’agente, che deve essere provato dal danneggiato, mentre la responsabilità per danni da cose in custodia si fonda sulla pura e semplice relazione tra la cosa che ha prodotto il danno e la persona che ne ha la custodia.

Unico limite alla responsabilità da mancata custodia è dato dal “caso fortuito”, ossia dall’esistenza di un fattore imprevedibile ed eccezionale, estraneo alla sfera oggettiva di vigilanza e controllo del custode, idoneo a interrompere il nesso causale tra la cosa in custodia e il danno e che può identificarsi anche nel fatto di un terzo o nella colpa del danneggiato.

La ricostruzione della responsabilità per danni da custodia in termini “oggettivi” comporta delle notevoli ricadute pratiche, in quanto risulta notevolmente semplificato l’onere probatorio a carico del danneggiato rispetto allo schema generale previsto dall’art. 2043 c.c.:

al soggetto che si ritiene danneggiato (un condomino o anche un terzo) compete provare l’esistenza del rapporto di causalità tra la cosa comune e l’evento dannoso;

al condominio grava la prova liberatoria del caso fortuito nei termini anzidetti, quale unico elemento idoneo ad escludere la propria responsabilità.

La prova liberatoria del caso fortuito incombe sul condominio solo una volta assolto dal danneggiato l’onere di dimostrare che l’evento dannoso sia conseguenza della potenzialità lesiva della cosa in custodia. In tal senso è stato affermato che, se il terreno è sconnesso, la presenza di una grata sollevatasi dal suolo non basta a determinare la responsabilità del condominio per la cosa in custodia. Infatti, l’articolo 2051 non dispensa il danneggiato dall’onere di provare il nesso causale tra queste ultime e il danno, ossia di dimostrare che l’evento si è prodotto come conseguenza normale della particolare condizione, potenzialmente lesiva posseduta dalla cosa” (cfr. Cass. civ. n. 5977/2012).

Il condominio dunque è sempre responsabile per i danni subìti all’interno dei locali condominiali, salvo il “caso fortuito”. Non tutti i giudici, però, sono concordi nel definire cosa debba intendersi per “caso fortuito”,per cui il risarcimento del danno è tutt’altro che automatico.

Nell’ambito della variegata casistica condominiale, esempi classici sono i danni conseguenti alle infiltrazioni d’acqua provocate da difetti di manutenzione di parti comuni dell’edificio (ad esempio, muri, tetti o lastrici solari) o dalla rottura di tubazioni condominiali.

È stata affermata altresì la responsabilità del condominio, per esempio, se la caduta avviene lungo la rampa condominiale di accesso all’autorimessa a causa della presenza di una macchia di olio non visibile (Cass. civ.,n. 20317/2005).

Al contrario, è stata esclusa la responsabilità del condominio nel caso di caduta avvenuta sui gradini d’ingresso, provocata da materiale scivoloso abbandonato sul posto da soggetti terzi: in tal caso, il giudice ha ritenuto che tale eventualità – proprio perché non prevedibile e non immediatamente eliminabile dal condominio – rientrasse nel “caso fortuito”, negando il risarcimento al danneggiato (Trib. Nocera, n.15/2003).

Un evento che può limitare o addirittura escludere la responsabilità del condominio è dato la conoscenza o conoscibilità dei luoghi da parte del soggetto che lamenta il danno.

In tale prospettiva, è stato respinto il ricorso presentato da una signora che chiedeva il risarcimento per la caduta nell’atrio dell’edificio reso scivoloso dalla cera applicata dal custode dello stabile, frammista all’acqua piovana trasportata dal passaggio degli inquilini. Secondo i giudici, infatti, la vittima avrebbe ben potuto verificare, in condizioni di normale visibilità, che il pavimento appariva scivoloso; dunque non era stata prestata la normale diligenza e la dovuta attenzione alla situazione di anomala dei luoghi (Cass. civ., n. 16607/2008).

Sulla stessa lunghezza d’onda si pone una sentenza del Tribunale di Lecce (n. 1510/2011) che ha negato il risarcimento del danno in relazione alla quotidiana frequentazione dei luoghi da parte dell’attore e della sua presumibile e comunque esigibile conoscenza delle caratteristiche dell’immobile, ivi compresa la condizione della pavimentazione dell’androne presso cui si era verificata la caduta. In altri termini, chi conosce il contesto condominiale in cui si muove dovrebbe fare più attenzione a dove mette i piedi.

Non va poi neanche sottovalutata la responsabilità civile dell’amministratore nei confronti dei condomini per non aver segnalato loro tempestivamente la necessità di intervenire, nonché quella penale dello stesso nei confronti del danneggiato, ai sensi dell’art. 40 c.p., che stabilisce che “non impedire un evento che si ha l’obbligo giuridico di impedire equivale a cagionarlo”.

fonte: Condominio Web

Modifiche alla disciplina del condominio negli edifici

La riforma del condominio è legge. La commissione Giustizia del Senato ha approvato oggi la nuova disciplina del condominio.

Il provvedimento, varato in sede deliberante attende la firma del Capo dello Stato. L’entrata in vigore è fissata sei mesi dopo la pubblicazione in “Gazzetta Ufficiale”.

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Parcheggio delle autovetture e strade condominiali

 

 

Lo stradello condominiale è troppo stretto? Allora è giusto negare il parcheggio delle autovetture

(25/09/2012)di Alessandro Gallucci,

 

Ciascun partecipante può servirsi della cosa comune, purché non ne alteri la destinazione e non impedisca agli altri partecipanti di farne parimenti uso secondo il loro diritto. A tal fine può apportare a proprie spese le modificazioni necessarie per il migliore godimento della cosa.

Questo il disposto normativo, volutamente generico, contenuto nel primo comma dell’art. 1102 c.c.

La norma, è cosa nota, è stata dettata per la comunione in generale ma è applicabile – in virtù del richiamo contenuto nell’art. 1139 c.c. – anche al condominio negli edifici. Che cosa vuol dire diritto al pari uso? Secondo la Cassazione, che in tal senso s’esprime univocamente e da tempo immemorabile, “” (così, ex multis, Cass. 5 ottobre 2009, n. 21256).

Sull’uso dei beni comuni l’assemblea e l’amministratore hanno competenza a deliberare e prescrivere le migliori modalità d’utilizzazione. Sono chiari in tal senso gli artt. 1130 e 1138 c.c.

 

Un esempio.

Il parcheggio condominiale è troppo piccolo rispetto al numero dei condomini? Allora si possono deliberare i turni. Secondo la Cassazione “la disciplina turnaria dei posti macchina, lungi dal comportare l’esclusione di un condomino dall’uso del bene comune, – come ritiene la sentenza impugnata, – è adottata per disciplinare l’uso di tale bene in modo da assicurarne ai condomini il massimo godimento possibile nell’uniformità di trattamento e secondo le circostanze; che la delibera, la quale disciplina l’uso di un bene comune può essere legittimamente assunta con le maggioranze di cui all’art. 1136 cod. civ., purché sia assicurato il pari uso di tutti i condomini, e cioè il massimo godimento possibile […]” (Cass. n. 12873/05)

Recentemente, sempre in relazione all’uso delle parti comuni, la Cassazione è tornata sul tema delle strade condominiali e del parcheggio selvaggio. Nel caso sottoposto alla sua attenzione si litigava in merito alla possibilità di parcheggiare su uno stradello condominiale che conduceva all’autorimessa. Possibile secondo chi sostava in quella parte del condominio. Illecito secondo coloro i quali accedevano all’autorimessa: non c’era spazio per passare. La Corte ha dato ragione a questi ultimi: la strada è troppo stretta e quindi non vi si può sostare (cfr. Cass. 24 agosto 2012 n. 14633). Un altro modo per dire: se lo stato dei luoghi non la consente, l’assemblea può vietare la sosta sulle strade condominiali.

 

Fonte:

CondominioWeb.com

Avv. Alessandro Gallucci

 

Riforma del condominio in Aula, un’attesa che dura da 70 anni

(18/09/2012) Il Sole24ore

La riforma del condominio arriva ieri in Aula alla Camera per la discussione generale. Si tratta di un provvedimento molto atteso considerato che sono circa 30 milioni gli italiani che vivono in condominio e la normativa in vigore risulta ormai datata. Il nuovo testo (AC 4041), elaborato dalla Commissione, si compone di 32 articoli, che novellano il Capo II del Titolo VII del Libro III del codice civile, e gli articoli 63 e seguenti delle disposizioni di attuazione e alcune leggi speciali, prevedendo un generale riordino della disciplina, con importanti novità rispetto al via libera del Senato il 26 gennaio del 2011.

Com’è cambiata la riforma
In particolare, rispetto a quel testo, la Commissione ha modificato alcune disposizioni che riducevano eccessivamente i quorum costitutivi e deliberativi dell’assemblea (in particolare in relazione alla modifica delle destinazioni d’uso delle parti comuni e alle innovazioni); ridefinito il concetto di “controversia in materia di condominio”, per l’applicazione della mediazione obbligatoria; disciplinato il tema della morosità del condomino; previsto l’istituzione, presso l’Agenzia del territorio, del Repertorio dei condominii e del Registro degli amministratori di condominio. Continua a leggere